Il ruolo di Sport Senza Frontiere nella fase due sarà ancora una volta quello di stare #dallapartedeibambini, tornando ad utilizzare, speriamo prima possibile, quello che è il nostro strumento centrale nell’educazione: LO SPORT.
La profonda angoscia psicologica riguardo il futuro che ha investito le nostre famiglie, già in grave difficoltà economica prima del COVID, l’ansia, la depressione e tutti i disturbi post-traumatici da stress, dovranno essere fronteggiati. E se vogliamo proteggere ed aiutare i bambini, dobbiamo prenderci cura dell’intero nucleo famigliare, così come abbiamo fatto durante il lockdown.
Sport Senza Frontiere sta sviluppando azioni e programmi per aiutare i più vulnerabili, ovvero i bambini e gli adolescenti, a recuperare, attraverso il sostegno psicologico e le attività sportive, organizzate nel rispetto delle regole, quel benessere psicofisico di cui lo sport è veicolo principale.
In Italia ci sono state, come sappiamo, regioni e città più colpite, quindi l’intervento di Sport Senza Frontiere si è modulato sulle esigenze del territorio. Marco Gritti psicologo dello sport e coordinatore di Sport Senza Frontiere a Bergamo, ci racconta come hanno vissuto i bambini della città più colpita dall’emergenza e quale sia stato l’intervento centrale che Sport Senza Frontiere ha portato avanti durante il lockdown, per sostenere i nuclei famigliari.
Quale è stata l’azione che Sport Senza Frontiere ha portato avanti a Bergamo?
Come organizzazione ci siamo dovuti adattare a questo stato di emergenza e cambiare velocemente il modello di intervento per rispondere alle necessità delle nostre famiglie. A Bergamo come in altre città Sport Senza Frontiere ha distribuito generi di prima necessità alle famiglie dei nostri bambini e soprattutto c’è stato un importante lavoro di sostegno psicologico. Tutte azioni molto concrete e molto importanti.
Ci puoi descrivere la tipologia delle famiglie che beneficiano del nostro programma a Bergamo?
I bambini inseriti nei programmi sportivo-educativi di Sport Senza Frontiere provengono tutti da famiglie italiane e non, segnalate dai servizi sociali del Comune di Bergamo in quanto famiglie in condizione di forte disagio socioeconomico e a rischio di emarginazione. Sono famiglie numerose con in media 2-3 figli tra i 6 e i 14 anni.
Che sport facevano i nostri bambini prima del COVID?
Svolgevano diverse discipline sportive: calcio, nuoto, rugby, football americano e pallavolo.
Come hanno vissuto la notizia dell’emergenza? Hanno capito subito o hai dovuto spiegare loro cosa succedeva?
Si hanno capito subito la serietà della situazione. Quello che ho fatto è stato soprattutto un intervento psicologico per contenere l’ansia e la paura. Ho spiegato ai bambini e alle loro famiglie quali erano i comportamenti da tenere e le regole da rispettare per tutelare sé stessi e gli altri.
Cosa è mancato di più ai bambini in questo periodo di isolamento?
Gli amici sicuramente, le relazioni sociali, il potersi muovere, cioè esprimere la propria corporeità che per i bambini è fondamentale. È mancata anche l’attenzione educativa da parte degli adulti che normalmente li seguivano. Mi riferisco agli insegnanti di scuola ma anche agli istruttori sportivi. Gli è mancato il confronto con gli altri. In poche parole, gli è mancato lo sport che condensa tutte queste dimensioni e dinamiche.
Che tipo di intervento hai fatto come psicologo?
Ho utilizzato le mie competenze psicologiche nella relazione con i bimbi e con le famiglie. Ho fatto frequenti telefonate, video-chiamate, ho utilizzato tutorial per aiutarli ed indirizzarli su alcune tematiche. L’intervento più importante comunque è stato sempre l’aiuto nella gestione dell’ansia e della paura. Sai, nei più piccoli molto spesso queste paure sono sensazioni sottili alle quali non riescono neanche a dare un nome preciso. Il rischio è che questi sentimenti che loro provano, vengano vestiti da idee ed immagini veicolate dal mondo adulto, con una carica emotiva molto forte che i bambini non sono in grado di gestire. Per questo ho avuto subito chiaro che andavano aiutati anche gli adulti, i genitori. Per questo motivo il nostro sostegno è stato rivolto all’intero nucleo famigliare.
Come hai cercato di contenere quest’ansia e questa paura nei bambini?
Li ho aiutati a contestualizzare e ad inquadrare queste emozioni come reazioni normali che hanno tutti gli esseri umani e li ho quindi aiutati a collegarle ad una problematica reale con una durata temporale. Li ho quindi aiutati a riconoscere il loro sentire e a razionalizzarlo. E questo lavoro però doveva essere fatto con il supporto della famiglia che è il primo referente educativo.
Siamo nella FASE 2. Secondo te quali saranno le conseguenze maggiori di questo lockdown e di questa grande paura sui bambini?
Non sappiamo esattamente cosa lascerà questa pandemia quando finalmente sarà conclusa, anche perché ogni bambino vive in situazioni e condizioni diverse. Ma penso che la pandemia non sparirà mai del tutto, qualche cosa rimarrà sempre nelle menti dei bambini e anche degli adulti perché uno stato di paura prolungato causa sempre delle modifiche. Nel breve termine, penso che potremmo manifestare insicurezza, difficoltà nel sonno… avremo insomma tutte le ripercussioni tipiche da stress post traumatico che sarebbe auspicabile affrontate con l’aiuto di uno psicologo.
Nella fase 2 e 3 lo sport sarà fondamentale ancora più di prima. In questo momento è tutto fermo quindi non sappiamo ancora come sarà lo sport nei prossimi mesi. Ma noi non ci fermeremo. Sport Senza Frontiere riuscirà ad adattare anche nel futuro il proprio intervento, come ha già fatto, senza rinunciare alla sua mission e senza mai far mancare la propria vicinanza ai bambini e alle loro famiglie in difficoltà.
Sport Senza Frontiere ringrazia SOFAR, l’azienda che ci ha permesso di iniziare il progetto a Bergamo e che continua a sostenerlo negli anni.
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