Era marzo del 2014 quando per la prima volta incontrai Sandro Palmieri, il Direttore di Sport Senza Frontiere. Mi raccontò di cosa si occupava la onlus e mi chiese se mi sarebbe piaciuto collaborare con loro.
In quel momento stavo lavorando in un Centro di Accoglienza per persone senza fissa dimora, un lavoro che ti segna, molto duro, ogni giorno in trincea. Il progetto di SSF mi sembrò da subito un’oasi nel deserto: lavorare con i bambini, aiutarli ad inserirsi regalando loro lo sport… voleva dire lavorare con il sorriso sempre sulle labbra.
Accettai subito un part-time come tutor-educatore del X Municipio di Roma Ostia, il luogo bello e difficile dove sono nato e cresciuto. Dopo un anno ero riuscito, insieme a tutta la squadra di SSF, a firmare un protocollo di intesa col Municipio e ad inserire 30 dei bambini che ci avevano segnalato nella rete solidale delle prime 13 società sportive che avevano con entusiasmo aderito al progetto. Stare con i nostri bambini, e con le loro famiglie, è stato un piacere da sempre. Mi ha ridonato un senso di leggerezza, nonostante le loro mille difficoltà, e vederli correre felici dietro ad una palla o sistemare la barca dopo una tempesta (eh sì, a Ostia si fa anche vela!), mi ripagava di qualsiasi fatica. E così, dopo quel primo entusiasmante anno, ho iniziato a lavorare esclusivamente per Sport Senza Frontiere.
Mentre coordinavo il progetto e i bambini diventavano sempre più numerosi, io sentivo il bisogno di fare di più e fu così che iniziai il percorso per diventare fundraiser. Qualche anno prima di incontrare SSF avevo iniziato a studiare sui libri come raccogliere fondi e ora ne avevo finalmente l’opportunità. Scrissi una lettera ad amici e parenti raccontando le emozioni che mi facevano vivere i miei ragazzi, quanto fosse importante per loro lo sport, e chiesi a tutti di diventare donatori regolari. In pochi giorni riuscii a convincere 8 persone e il Direttore rimase sorpreso, perché sapeva quanto fosse difficile. Da quel momento mi chiese di iniziare a curare i donatori che già avevamo e nel giro di pochi anni lasciai il lavoro sul campo, che svolgevo tutti i giorni andando a monitorare i bambini e le società che li ospitano, per diventare un fundraiser. In un certo senso, procacciando i fondi necessari per la sostenibilità, li stavo aiutando anche di più.
Oggi il gruppo di Ostia è sempre più florido, grazie ai colleghi che mi hanno “egregiamente” sostituito sul campo, Silvia per prima, e poi Michele, Ambra e non ultima la mitica Francesca, che a causa del suo trasferimento a Roma, abbiamo “scippato” allo staff di Napoli. Ovviamente io ogni tanto i bambini vado a trovarli con qualche scusa, perché è sempre bello tornare in un posto in cui ti senti a casa. E lo confesso: ogni volta l’accoglienza dei dirigenti e degli allenatori delle nostre società sportive mi commuove, perché è la stessa con la quale accolgono i nostri bambini, colmandoli di affetto ma anche di una guida sicura che spesso è proprio la cosa che più di tutto a loro manca.
Alcuni di quei 30 bambini che ho inserito nel primo anno sono diventati ragazzi, alti, grandi più di me. Hanno fatto tanta strada, il loro percorso è stato bellissimo e pieno di successi. Oggi vantano una sicurezza e un’autonomia che all’epoca sarebbero state solo un sogno. Con altri ho perso i contatti, magari perché si sono trasferiti o le loro situazioni familiari sono cambiate, ma mi piace pensare che quello che è stato seminato non si è perso e che si stanno comportando in un modo, sia dentro che fuori dal campo, che mi rende orgoglioso di loro.